In principio fu il California roll. Poi arrivò il sushi burger. Ora tocca al discutibilissimo sushi cake. Ma le contaminazioni ideali restano il poké delle Hawaii e il temaki brasiliano
Diciamolo subito: non è una novità assoluta. Ma una tendenza sì. Stiamo parlando di alcune versioni rivisitate del sushi giapponese che stanno conquistando il pubblico europeo e americano. A cominciare dal sushi cake, la scenografica “torta di sushi” adatta a chi non vuol sentir parlare di minimalismo giapponese. E vuole invece applicare alla gastronomia del Sol Levante un po’ del nostro cake design. Nel sushi cake la “torta” si basa su una frittata, sulla quale viene posta della polpa di granchio e della maionese. A questo punto si posiziona il riso, che poi verrà completamente riso ricoperto da sottili fette di salmone affumicato: e così via, strato dopo strato. Il tutto ovviamente in forma rotonda, come fosse la più classica delle torte di mele, con le “decorazioni” del cetriolo e dell’avocado. Fino a formare, nei casi estremi, perfino delle dubbie torte nuziali ricorrendo anche al “normale” sushi. Risultato? Giudicate voi. Ma, almeno l’aspetto, a noi Italiani non può che ricordare i pasticci e le tartine gelatinate e con abbondante maionese così in voga negli anni ’80.
Quando agli americani non piaceva il pesce crudo
Certo è che, per il sushi cake, sembra difficile eguagliare il successo del California roll: questa forma atipica di sushi nacque negli Stati Uniti negli anni ’60, quando Ichiro Mashita, chef del ristorante Tokyo Kaikan di Los Angeles sostituì il tonno con l’avocado. Il California roll si prepara prendendo un foglio d’alga nori, disponendovi uno strato di riso, l’avocado, la maionese e la polpa di granchio, avvolgendo poi il tutto. Vi ricorda qualcosa? Ma sì, la nostra sushi cake. Aggiornata con l’aggiunta di un alquanto occidentale salmone affumicato, anche se l’inserimento del tonno e delle altre specie tipiche del sushi dovrebbe costituire il successivo passo naturale: il California roll, progenitore del sushi cake, nacque infatti perché negli anni ’60 proporre del pesce crudo a degli Americani sembrava decisamente troppo. Ora non è più così.
Riso e tartare
Finita? Macché? Oltreoceano, così come in Australia, è diventato un classico anche il sushi burger. Ne esistono numerose versioni, ma la più classica è questa: si prepara con il coltello una tartare di salmone e una di tonno; si mette a punto una “salsina” a base di salsa di soia, succo di limone e capperi tritati, con la quale si condisce le due tartare, arricchite anche da un pizzico d’erba cipollina e di tobiko. A questo punto si posizione sul piatto uno strato di riso, poi la tartare di tonno, un altro strato d riso, la tartare di salmone e ancora riso. E l’immancabile avocado come decorazione. Piuttosto difficile da afferrare: dell’hamburger c’è giusto la forma.
Avocado ergo sum
Negli Stati Uniti sta tornando di moda anche il poké, il “sushi all’hawaiana” nato negli anni ’70. È costituito da una ciotola di riso sormontata da tonno crudo marinato, alghe e verdure. Tra gli ingredienti compaiono anche la salsa di soia, le cipolle verdi, ma anche wasabi e furikake (mix di pesce secco, semi di sesamo e alghe essiccate) e l’immancabile avocado.
I coni di San Paolo
Tra tutte queste contaminazioni del sushi giapponese, la più famosa resta però il temaki, il sushi brasiliano. Una pietanza nata agli inizi del ‘900, quando si stabilì a San Paolo una piccola comunità giapponese di 165 famiglie. I temaki sono coni d’alga ripieni di riso e pesce crudo: tonno, salmone, gamberetti, scampi. Assieme all’onnipresente avocado, vero compagno inseparabile di ogni sushi fuori dal Giappone. Ma, Brasile e Hawaii a parte, perché non provare un originalissimo sushi all’italiana? Con gli ingredienti giusti,è un’autentica sorpresa…
Fonte: La Cucina Italiana (https://www.lacucinaitaliana.it/news/trend/sushi-cake/)