All you can Eat: una formula nata a Las Vegas
All’inizio era una formula utilizzata nei casinò di Las Vegas negli Anni 50: dopo la mezzanotte, ai giocatori era consentito accedere al buffet senza limiti di quantità. Col tempo, i ristoranti «All you can eat» (Tutto quello che puoi mangiare) hanno conquistato il resto degli Stati Uniti: locali dove, con circa 10 dollari a testa, era possibile sfamarsi a oltranza. Dagli Usa all’Italia il passo è stato breve e ora una dozzina di questi locali sono anche nel Biellese.
Si tratta di ristoranti gestiti da cittadini cinesi che, per soddisfare le tendenze del momento, in genere si definiscono giapponesi. Il cibo è vario: non mancano quasi mai vitello tonnato, lasagne e agnolotti panna e funghi. Ovviamente c’è un angolo giapponese dove si possono trovare sushi, sahimi e vari tipi di maki (i rotolini di riso avvolti nell’alga con all’interno pesce crudo e avocado) e una scelta infinita di cibo cinese. Senza limiti anche i dolci: gelati, tranci di torte, budini e frutta.
Difficile uscire affamati da questi locali dove, a farla da padrone, è sempre il prezzo: mai sopra i 12 euro a pranzo e 18 a cena. A Biella si possono trovare nelle vie Rosselli, Milano, Cottolengo fin lungo la strada Trossi, ma anche a Ponderano, Gaglianico, Vigliano e Quaregna. Tutti coloro che hanno varcato almeno una volta la soglia di questi ristoranti, però, si sono posti la stessa domanda: come possano questi ristoratori rientrare nelle spese. «Lavoriamo sulla quantità – spiega Zeng Xiao Feng, titolare di Wok il Panda a Gaglianico -. In genere 10 chili di pesce costano 18 euro al chilo. Noi ne acquistiamo 100 chili e lo paghiamo 6 o 7 euro».
Gli «All you can eat» biellesi si servono da 3 fornitori a Milano, Brescia e Vercelli che vendono pesce surgelato d’allevamento: il salmone arriva dalla Norvegia, il tonno dalla Spagna e il branzino dalla Grecia. Non mancano i «trucchi» per contenere i costi: quasi sempre viene utilizzato il salmone (che costa meno rispetto al tonno e all’orata), mentre negli involtini il riso è l’alimento principale.
«Quando scongeliamo il pesce una parte viene servita cruda – dice ancora il ristoratore -. Il giorno dopo, il sushi avanzato viene cotto e utilizzato per le pietanze. Quello che avanza, poi, viene buttato: abbiamo 300 coperti e non possiamo rischiare».
L’80% dei prodotti utilizzati proviene dall’Italia: olio, farina, uova, frutta e verdura. Dalla Cina arrivano gli spaghetti di riso e i prodotti a base di soia. Ogni ristorante, però, ha una serie di costi fissi (affitto, luce, acqua, e personale) sui quali non sono previsti sconti.
In questo campo si gioca in casa: in un solo ristorante lavorano moglie, marito, figli e genitori. Infatti alla Camera di Commercio di Biella sono registrati 58 cittadini cinesi con cariche imprenditoriali nei servizi di ristorazione, ma i ristoranti cinesi-giapponesi sono appena una quindicina su 427 registrati in provincia. Resta il fatto che ai biellesi questa formula piace. Anche locali storici (come l’ex Melting Pot) si sono convertiti alle formule orientali.
«Ho rilevato il Cotton e ne sono davvero orgogliosa – dice Margherita Lin, che gestisce il Sushi Yamasaki di viale Roma -. Con la formula “All you can eat” si lavora meglio, si garantisce cibo fresco tutti i giorni e la possibilità di provare il sapore autentico del nostro Oriente». Forse, però, chiunque abbia provato la cucina nipponica avrebbe qualcosa da eccepire sui «veri sapori giapponesi». I clienti, però, sono contenti, escono con la pancia piena e per di più spendono poco. E tanto basta.